24/08/2018

Difficoltà di apprendimento: i “ragazzi difficili”

Con il termine “ragazzi difficili” si identifica una serie di condizioni, anche molto varie fra di loro, accomunate da una “dissonanza” rispetto a un modello di competenza sociale.

A differenza dei disturbi specifici dell’apprendimento, che riguardano specifiche abilità coinvolte nella didattica (lettura, scrittura, calcolo), con “ragazzi difficili” si indica una difficoltà esistenziale che compromette, oltre al normale apprendimento, le abilità relazionali dell’alunno.

Essendo la categoria molto vasta, può essere utile delineare alcune tipologie più specifiche:

  • Ragazzi a rischio: il disagio è causato da carenze materiali e relazionali come povertà, precarietà economica della famiglia, disagio abitativo o figure genitoriali inadeguate o abusanti. La priorità, in questo caso, è costruire attorno al minore un contesto adeguato e inclusivo che scongiuri la possibilità di un futuro deviante.
  • Ragazzi disadattati: manifestano rabbia, frustrazione e conflitto nei confronti di compagni ed educatori, specialmente in corrispondenza di situazioni critiche.
  • Ragazzi delinquenti: a differenza delle altre tipologie, questi ragazzi hanno violato il codice penale e sono entrati in contatto con l’apparato giudiziario e con esperienze sociali degradanti. A differenza di altri ragazzi difficili, sono stati sottoposti a uno stato di maggior tensione.

Compito della pedagogia che si occupa dei ragazzi difficili è di indagare le cause del comportamento deviante piuttosto che reprimerlo o punirlo. Il comportamento antisociale deve esser considerato come una modalità di espressione di disagio. Con un reindirizzamento della “visione del mondo” è possibile ristrutturare l’attività intenzionale del ragazzo. Compito dell’educatore sarà anche dilatare il campo di esperienza del ragazzo, permettendogli di evadere dai vincoli disfunzionali e dalla situazione di disagio.

L’educatore dovrà inoltre essere consapevole del senso di vulnerabilità provato dall’alunno nei suoi confronti: quella fra allievo ed educatore è infatti una relazione asimmetrica (anche se I nuovi approcci si pongono come obiettivo di erodere progressivamente questa distanza). Un modo efficace per incrementare la stima e la fiducia reciproca è quello di superare le resistenze del ragazzo con la ritualità, che permette di entrare progressivamente in confidenza.

L’approccio educativo deve essere sistemico, cioè agire sul soggetto nella sua globalità. Si dovrà quindi agire sia sul soggetto in quanto singolo, sia sul soggetto in quanto membro di una comunità (il gruppo classe). La scolarizzazione rappresenta, in quest’ottica sistemica, un’occasione unica per superare le difficoltà e inserirsi felicemente nel tessuto sociale.